ROSSI, LUIGI
* 10.3.1853 LUGANO, † 6.8.1923 TESSERETE
Maler und Illustrator.
Nasce a Cassarate, sobborgo di Lugano; nel 1856 la famiglia si trasferisce a Milano dove Rossi frequenta l’Accademia di Brera. La sua formazione avviene sotto la guida di Giuseppe Bertini, accanto a Leonardo Bazzaro, Eugenio Gignous, Cesare Tallone, e conosce una parentesi piemontese che gli consente di entrare in contatto con Leonardo Bistolfi e Mario Calderini. Nel 1871 l’esordio: Questua infruttuosa, In assenza dei padroni, I parvenus (Bellinzona, Museo Villa dei Cedri) e altre opere degli anni immediatamente seguenti, iscritte alla pittura di genere, gli valgono il consenso del pubblico e della critica. Nel 1878, con Ritorno al paese natio, il giovane artista svizzero sfiora il riconoscimento del premio Principe Umberto che gli sfugge in quanto non «regnicolo». Nei primi anni ’80 dai soggiorni nelle valli ticinesi e in Brianza trae lo spunto per alcuni dipinti di paesaggio e raffiguranti la vita contadina; esegue poi a Milano alcuni dei suoi migliori ritratti.
Dal 1885 al 1889 è a Parigi, attivo nel campo dell’illustrazione del libro per conto degli editori di origine svizzera Guillaume; accanto a Ernest Biéler, Antoine Calbet, Luigi Conconi, Felician de Myrbach e altri, Rossi pone mano alla realizzazione di una ventina di libri. In particolare si rilevano le illustrazioni per Sapho e per l’intero ciclo di Tartarin, l’eroe tarasconese di Alphonse Daudet; legato da amicizia allo scrittore provenzale di cui esegue il ritratto, Rossi frequenta in sua compagnia l’ambiente dell’Académie Goncourt. La collaborazione con Pierre Loti, del quale illustra Madame Chrysanthème, lo porta a seguire lo scrittore nella Charente, teatro dei soggetti ispirati alla vita sulle coste dell’Atlantico.
Di ritorno a Milano riprende la consuetudine con la pittura e riallaccia i contatti con l’ambiente artistico della città. Nel 1891 è in Sicilia dove trae lo spunto per una serie di dipinti e per le illustrazioni di Daphnis et Chloé di Longo Sofista. Gli anni ’90, corrispondenti alla sua stagione più alta, di passaggio dal realismo al simbolismo, segnano la regolare partecipazione dell’artista alle mostre milanesi di Brera e della Permanente e alle mostre nazionali svizzere. Nel 1895 è invitato nella sezione italiana della prima Biennale di Venezia, dove il dipinto Scuola del dolore è acquistato dalla Casa reale italiana; nel 1896 a Ginevra presenta Rêves de Jeunesse (Lugano, Museo d’arte della Svizzera italiana), nel 1898 alla Generale di Torino figura Il mosto (Milano, Civiche raccolte d’arte). La sua qualificata presenza in collezioni svizzere e italiane è regolare e stimata al pari della sua partecipazione alle commissioni artistiche dei due Paesi.
Di rilievo l’impegno didattico di Luigi Rossi, svolto nel segno delle idee sull’unità delle arti enunciate da Ruskin e Morris: a due «rapporti» (1893 e 1897) redatti con Augusto Guidini sul riordinamento delle scuole di disegno ticinesi, segue nel 1901 un intervento sull’insegnamento del disegno all’Università Popolare Milanese; la sua «relazione-progetto» per le scuole-laboratorio sottolinea l’impegno svolto con competenza e passione all’Umanitaria di Milano nel periodo 1902–1912. Ai primi del Novecento prosegue la sua passione per la pittura di paesaggio, nutrita dall’amore per la regione ticinese della Capriasca dove nel 1912 acquista la casa di Biolda. Durante gli anni ’10 alla Permanente di Milano, Rossi partecipa all’attività della Società degli Acquarellisti Lombardi, accanto a Filippo Carcano, Emilio Gola e Paolo Sala. Nel 1921 l’artista tiene un’ampia personale a Milano nella prestigiosa galleria di Lino Pesaro. Nel 1924 mostre postume alla Permanente di Milano e a Villa Ciani di Lugano. La ripresa della sua fortuna critica corrisponde alla prima monografia-catalogo nel 1979, cui seguono le mostre di Milano, Bellinzona, Losanna (1985-1986) e la pubblicazione di altri studi intorno alla sua opera della quale è apparso nel 1999 il catalogo ragionato. Nella sua casa-museo in Capriasca, a Tesserete, sono conservati una ventina di dipinti, altrettanti disegni e acquerelli, e materiali dell’archivio di famiglia.
L’esordio dell’artista, nel 1871 alla mostra di Brera, riflette la sua iscrizione al filone della pittura di genere praticata in Lombardia dai fratelli Induno. Le scene d’interno, talvolta in costume, dipinte con arguzia dal giovane Rossi, rivelano garbata ironia e sensibilità sociale. Fra gli anni ’70 e ’80 l’artista pone mano a una serie di paesaggi brianzoli, piemontesi e ticinesi: dapprima nei villaggi della valle del Cassarate, ancora teatro di scene di genere, poi in Verzasca, quando dipinge quadri a soggetto contadino. Al 1881 risale Una via di Milano, cordiale pagina verista che il pittore dedica alla sua città di adozione. L’artista rivela finezza d’introspezione psicologica in un’intensa e breve sequenza di ritratti vibranti, d’impronta scapigliata: da quello civile per il liberale Battaglini a quello borghese della signora Andreazzi, fino al profondo senso d’intimità che abita il volto della bambina Emilia o distingue la posa assorta della moglie nel dipinto In Duomo.
Dal 1885 è impegnato quale illustratore all’acquarello per i romanzi di Daudet e Loti: in particolare la malinconica vicenda nella Sapho di Daudet si attaglia al suo stile interpretativo in cui si dispone uno speciale ritratto continuo della protagonista del romanzo; la storia triste di Madame Chrysanthème di Loti è percorsa da un’articolata serie di stilemi decorativi: il discorso figurativo approntato da Rossi traduce il dispositivo circolare della narrazione di Loti. In Daphnis et Chloé l’illustratore restituisce il clima da idillio simbolista della pastorale di Longo Sofista, e dispone un livello di lettura metaforico condotto sulla trasformazione dell’immagine della rosa. Quando illustra Les demi-vierges Rossi trattiene la brevità del gesto, l’attesa sulla soglia, l’ascolto della musica, la lettura. A partire dagli anni ’90 si inaugura la stagione più alta della sua pittura, entro la quale l’esperienza realista si muta in simbolo: agisce in questa direzione l’influsso dell’amico scrittore Gian Pietro Lucini, autore del Libro delle Figurazioni Ideali che include la trascrizione in versi di Rêves de Jeunesse. Accanto alla trasfigurazione dell’elemento naturale, il dipinto suggerisce un’immagine allo specchio; è un autoritratto simbolico che traduce il pensiero dello sguardo di Rossi e al tempo stesso attua lo spostamento dell’identità dell’artista dalla cultura italiana della formazione a quella svizzera e internazionale.
Quando all’altezza degli stessi anni ’90 l’artista dispone quadri a scena collettiva di lavoro come L’Armée du travail (Confederazione svizzera), risente l’influsso della pittura di Jules Breton e risponde alla poetica del simbolismo sociale che si conferma nelle successive raffigurazioni ideali della vita dei campi, fino al Canto dell’Aurora del 1912 (Lugano, Museo d’arte della Svizzera italiana), pagina emblematica della pittura simbolista dell’arco alpino. L’assunzione di stilemi liberty, disegnati per le edizioni illustrate, appare delicata con misura nei dipinti di Rossi, a cominciare dal malinconico ritratto della nipote Antonietta sino alla figura stilizzata della Donna dei fichi. Ma ancora nella poetica di Rossi affiora la generosa vena umanitaria quando in Alveare dipinge la vita sofferta delle case di ringhiera a Milano. Nei dipinti dell’ultimo periodo, accanto alle tavolette d’intensità e freschezza legate al paesaggio della Capriasca, l’artista torna agli affetti familiari attraverso i ritratti en plein air della figlia Gina a Biolda.
SIKART Lexikon zur Kunst in der Schweiz
Fonti archivistiche: Tesserete, Casa-museo di Luigi Rossi. Matteo Bianchi, 1998, aggiornato nel 2017 https://www.sikart.ch/kuenstlerinnen.aspx?id=4003676
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